La pesantezza della burocrazia è uno dei maggiori problemi del nostro Paese. Un “mostro”, come spesso viene definita, che si fa sentire soprattutto nei momenti di crisi come quello che stiamo vivendo. Ma non dobbiamo cadere nel semplicismo che agevolerebbe il malaffare.
“La semplificazione e la sburocratizzazione di cui abbiamo bisogno devono riguardare le procedure, i permessi, i tempi delle autorizzazioni, un più ampio e deciso uso delle conferenze di servizi e degli istituti del silenzio/assenso, tanto per fare un esempio - afferma Carla Tomasi, Presidente Finco - non certo le verifiche della qualificazione delle imprese e delle loro specializzazioni, né delle stazioni appaltanti, se non vogliamo continuare a versare lacrime (ma di coccodrillo a questo punto) ogni volta che crolla un ponte, che delle barriere di sicurezza si sganciano dalla sede autostradale, o anche, che un’opera d’arte subisca un danno irreparabile”. Finco è la Federazione Industrie Prodotti Impianti Servizi ed Opere Specialistiche per le Costruzioni e la Manutenzione.
Come combattere il mostro della burocrazia?
“E’ necessaria una chiara programmazione dei lavori e dei relativi finanziamenti, con la corretta tempistica di progettazione per consentire la scelta del contraente; mantenere quindi alta l’attenzione sui programmi e sui tempi, per dare respiro alle opere pubbliche evitando inutili sprechi”.
“Durante la scorsa settimana - continua Tomasi - i media hanno riportato un forte dibattito su un imminente DL semplificazione, che conterebbe anche previsioni in tema di appalti: se cioè, per sintetizzare, sia meglio ispirare questa semplificazione al modello ricostruzione del ponte Morandi o a quello dell’Expo, il primo che elimina in radice, sempre per essere brevi, le procedure di gara, il secondo che alleggerisce le autorizzazioni, ma che ha visto impegnata Anac in un controllo serrato contro abusi e corruzione. Noi pensiamo che questi due modelli siano irripetibili per l'emblematicità che li ha contraddistinti e non replicabili nella 'normalità'”.
“La pesantezza dei processi autorizzativi può ben essere sostituita da una più snella autocertificazione, a patto però che il sistema disponga di un robusto e collaudato servizio ispettivo, sia da parte della stazione appaltante che dell’appaltatore in autodisciplina, ma anche e soprattutto di un adeguato apparato ispettivo del Ministero delle Infrastrutture, di quello dei Beni Culturali e di ogni altra Amministrazione che bandisce una gara”.
“Questa triplice garanzia di controllidi 'materialità', che deve arrivare alla verifica della reale idoneità di chi partecipa ad una gara ed esegue i lavori, non esiste se non in minima parte: sia il direttore dei lavori che il RUP spesso non mettono piede in cantiere, magari sostituendo le visite con documenti e controlli virtuali; per non parlare delle mancate ispezioni del Ministero delle Infrastrutture, anche quando le ispezioni sono obbligatorie per legge (si veda ad esempio il Dlgs 35/11 di conversione della Direttiva europea 2008/96/CE, che prevede ispezioni ministeriali obbligatorie su tutte le strade nazionali e transnazionali e, dall’ormai prossimo primo gennaio 2021, estendibili a tutta la viabilità locale)”.
“Burocrazia è anche resistenza dei pubblici dipendenti, che preferiscono rimanere fermi, senza alcuno che sancisca questo comportamento, piuttosto che assumersi le responsabilità connesse al proprio ruolo”.
“In Italia abbiamo, tra le altre, due eccellenze in materia di ispezioni: le Fiamme Giallenel settore pubblico e le Assicurazioni nel settore privato. Per dotare i LLPP dei triplici controlli di materialità di cui avrebbe bisogno per operare con credibilità una deregulation efficace (della stazione appaltante, dell’appaltatore e del MIT) sarebbe utile che i relativi responsabili andassero 'a lezione' rispettivamente dalla Guardia di Finanza e dalle primarie compagnie di Assicurazioni, il cui organico è in percentuale non irrilevante costituito da ispettori (tecnici, amministrativi di liquidazione di sinistri, ecc.)”.
“L’altro grande freno alla speditezza è costituito dalla scarsa liquidità degli impieghi. Si perdono anni per reperire fondi, anche se già stanziati; indi, gli stati di avanzamento dei lavori non vengono pagati con regolarità e di conseguenza i lavori si fermano e generano contenziosi esorbitanti: quando, alla fine, i soldi arrivano sono raddoppiati i tempi e i costi dell’opera e talvolta l’appaltatore, e tutti coloro che hanno lavorato per lui, è fallito”.
“Questo male oscuro per le opere pubbliche va combattuto con piani esecutivi tecnico-finanziari regolati da ferrei cronoprogrammi che rispettino le scadenze contrattuali (bene intanto l’aumento dell’ammontare delle anticipazioni sui LLPP disposto con il Decreto 'Rilancio')”.
“Basterebbero queste due cose, liquidità adeguata e ispezioni sui cantieri, per risolvere la più parte delle inefficienze dei LLPP, da non ricercare strumentalmente nella normativa, ma nella sua scorretta o inattuata esecuzione”.
“Anche la liberalizzazione del subappalto, di cui pur tanto si parla, realizzerebbe solo un’apparente semplificazione, in quanto potrebbe tra l’altro fornire una via di fuga pressoché totale dalle regole della sicurezza del lavoro, allargherebbe al massimo questa tradizionale porta d’ingresso alle mafie, e, non da ultimo, abbasserebbe di molto la qualità delle specializzazioni che costituiscono la parte di eccellenza dei LLPP”.
“Lasciamo, pertanto, il Codice dei Contratti Pubblici al punto di maggior semplificazione già realizzato dal Decreto c.d. 'Sblocca-Cantieri' lo scorso anno, e concentriamo le forze su un’esecuzione dei contratti puntuale e ben controllata, facendo uscire i controllori dai loro uffici per proiettarli nei cantieri e gestiamo al contempo con criterio la liquidità, che è un aspetto assolutamente decisivo anche e soprattutto in questo settore”, conclude Carla Tomasi.