Ammettiamo di voler acquistare un’abitazione in un Comune in cui possediamo già un alloggio qualificato a “uso promiscuo”, ma che soddisfi comunque le esigenze abitative dell'interessato. Sarà possibile beneficiare del Bonus Prima Casa? Andiamo a scoprirlo grazie a un caso specifico.
La Ctr del Lazio, in riforma della sentenza di primo grado, rigettava l'impugnazione del provvedimento con cui l'ufficio aveva dichiarato un contribuente decaduto dal beneficio dell'acquisto della prima casa.
I giudici d’appello valutavano corretto l'operato dell'Agenzia delle Entrate, la quale aveva ritenuto che il contribuente, quanto all'acquisto dell'unità immobiliare sita in Roma, non risultasse in possesso dei requisiti necessari per accedere all’agevolazione, atteso che alla data dell'acquisto era proprietario esclusivo di altro immobile, sito nel medesimo comune di Roma, dove aveva trasferito volontariamente la propria residenza. Tale immobile, adibito a uso promiscuo, dal 28 ottobre 2010 al 31 gennaio 2014, era certamente idoneo all’uso abitativo.
Avverso la pronuncia di secondo grado, il contribuente ha presentato ricorso per cassazione, affidato a due motivi di censura, ai quali ha replicato l’ufficio con autonomo controricorso.
Con il primo motivo, il ricorrente lamentava la violazione e falsa applicazione dell'articolo 1, nota 2-bis, della Tariffa, parte prima, allegata al Dpr n. 131/1986, denunciando che i giudici di appello non avevano valutato le specifiche contestazioni circa la non idoneità della seconda unità immobiliare sita in Roma a soddisfare le esigenze abitative del richiedente il beneficio.
Con la seconda censura, poi, evidenziava la violazione degli articoli 2697 e 2729 cc, assumendo che la Ctr del Lazio non aveva considerato che, nel caso in esame, gravava sull'ufficio l'onere di provare l’idoneità dell'altro bene a soddisfare le esigenze abitative del richiedente il beneficio.
I giudici di legittimità, con ordinanza n. 30585 del 3 novembre 2023, hanno rigettato il ricorso, condannando il contribuente alla rifusione delle spese processuali.
La sentenza della Cassazione
La Cassazione ha premesso che l'articolo 1, nota 2-bis, lettera b) della Tariffa, parte prima, nella sua attuale formulazione, indica sic et simpliciter la mera "prepossidenza" di un immobile, indipendentemente dalle sue effettive e reali caratteristiche, fra gli elementi ostativi alla fruizione delle agevolazioni fiscali sulla “prima casa”.
In passato, invece, il legislatore aveva espressamente subordinato il diniego del riconoscimento delle agevolazioni al caso della prepossidenza di un immobile idoneo ad abitazione, creando così mediante una sorta di fictio iuris, un particolare caso di impossidenza nell'ipotesi in cui, nonostante la titolarità giuridica dell'immobile, questo, in concreto, non potesse realizzare quegli scopi cui la disciplina agevolativa è preordinata.
Tale requisito ha riguardato, in particolare, gli acquisti verificatisi nel biennio 1993-1995, poiché in sede di conversione, la legge n. 75/1993, aveva inserito nell'articolo 1, primo comma, del Dl n. 16/1993, un nuovo requisito, rispetto alla precedente formulazione della norma, per effetto del quale l'acquirente doveva dichiarare “di non possedere altro fabbricato o porzione di fabbricato idoneo ad abitazione”.
In seguito, il legislatore è intervenuto in materia e, con la legge n. 549/1995, rettificando l'allora vigente disciplina, ha stabilito, all'articolo 3, comma 131, che per fruire delle agevolazioni l'acquirente dovesse dichiarare unicamente “di non essere titolare … dei diritti di proprietà, uso e abitazione di altra casa di abitazione nel territorio del comune in cui è situato l'immobile da acquistare”, sopprimendo così il requisito dell'idoneità abitativa.
La giurisprudenza di legittimità ha, per lo più, affermato che ai sensi dell'articolo 1, nota 2-bis, lettera b) della Tariffa, parte prima, allegata al Dpr n. 131/1986, è sufficiente la prepossidenza di un immobile destinabile ad “adeguata abitazione” e la Corte costituzionale, con ordinanza n. 203/2011, nel dichiarare la manifesta inammissibilità di una questione di illegittimità costituzionale relativa alla richiamata disposizione, così come modificata dalla legge n. 549/1995, ha richiamato l'interpretazione della suprema Corte, affermando che la sostituzione, nella legge relativa alle agevolazioni sulla prima casa, dell'espressione “fabbricato idoneo ad abitazione” con “casa di abitazione” è da intendersi nel senso che “la possidenza di una casa di abitazione costituisce ostacolo alla fruizione delle agevolazioni fiscali per il successivo acquisto di un'altra casa ubicata nello stesso Comune soltanto se la prima delle due case sia già idonea a soddisfare le esigenze abitative dell'interessato”.
Nel caso sottoposto al vaglio della Cassazione, la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione del condivisibile principio, cui va data continuità, per cui in tema di agevolazioni prima casa, ai sensi dell'articolo 1, comma 4, e nota 2-bis, della Tariffa, parte prima, allegata al Dpr n. 131/1986 - nel testo (applicabile "ratione temporis") introdotto dall'articolo 16 del Dl n. 155/1993 - “l'idoneità” dell'abitazione preposseduta va valutata sia sotto il profilo oggettivo (effettiva inabitabilità) sia sotto quello soggettivo (fabbricato inadeguato per dimensioni o caratteristiche qualitative), nel senso che il beneficio trova applicazione anche nell'ipotesi di disponibilità di un alloggio che non sia concretamente idoneo, per dimensioni e caratteristiche complessive, a soddisfare le esigenze abitative dell'interessato (cfr Cassazione, sentenza n. 2565/2018) e ordinanza n. 19989/2018).
L'idoneità abitativa non è esclusa dalla titolarità di un immobile a uso promiscuo, come dimostrato, peraltro, nel caso concreto, dal fatto che il contribuente vi aveva fissato la residenza per anni (dal 2010 al 2014).