Il nuovo Codice dei Contratti è entrato in vigore dal 1° luglio 2023. Dopo quasi quattro mesi di applicazione, andiamo ad ascoltare il parere degli architetti, attraverso le parole di Francesco Miceli, presidente del Cnappc.
“Abbiamo espresso un giudizio positivo sull’impostazione generale del nuovo Codice dei Contratti, sulla sua struttura giuridico normativa e sui principi fondamentali che lo regolano. Esistono però vistose contraddizioni tra i Principi ed il corpo normativo del Codice. Il principio del 'Risultato', ad esempio, mal si concilia con il ricorso generalizzato all’appalto integrato, che non è giustificabile nonostante il Pnrr richieda tempi rapidissimi di esecuzione. L’esperienza ci dice che il ricorso a questa procedura non ha prodotto grandi performance. Ha generato, al contrario, contenziosi ed ha, molto spesso, lasciato sul campo opere incompiute. L’appalto integrato non va demonizzato e può essere utilizzato laddove siamo in presenza di opere complesse in cui è preminente il ricorso a particolari tecnologie ed in cui prevale la ricerca di soluzioni tecnologiche ed innovative, ma il ricorso all’appalto integrato non è certamente adatto per quelle opere dove l’architettura e la sua qualità sono predominanti ed in cui bisogna tenere in considerazione sia gli aspetti storico-ambientali sia quelli paesaggistici”.
Miceli è intervenuto al Convegno “La Riforma dei Contratti Pubblici”, organizzato dalla Camera Valdostana per approfondire le novità più significative e gli aspetti più problematici del nuovo Codice degli Appalti.
“Altro aspetto di criticità è dato dalle modalità del concorso di progettazione a due fasi, che il nuovo Codice ridimensiona ingiustificatamente, non affrontando il nodo cruciale della centralità e qualità del progetto e rinunciando ad affermare il principio del 'Risultato' e quello della 'Concorrenza', che lo stesso Codice indica nel suo Titolo I. Con la conseguenza di ridurre drasticamente e rovinosamente il ricorso a questa procedura da parte delle stazioni appaltanti, le quali, in un clima di incertezze e di significativo rallentamento della loro attività, hanno rinunciato alla selezione della qualità come aspetto centrale nell’affidamento dei sevizi di architettura. Ciò rimanda alla discrezionalità del RUP, a cui viene affidato il compito di determinare le scelte utili ad affermare i principi che hanno fondamento normativo e che il Codice indica come riferimento primario. L’aspetto, quindi, con cui dovremo fare i conti è dato dalla primaria contraddizione che i contenuti innovativi del Codice non potranno essere attuati pienamente da questa Pubblica Amministrazione, che è caratterizzata da deficit strutturali storici che le impediscono di svolgere i nuovi compiti che il Codice gli assegna.
Codice dei Contratti ed Equo Compenso
Sull’attualissimo tema dei rapporti tra Codice dei Contratti e Legge sull’Equo Compenso il Presidente Miceli è tornato a sottolineare la contraddizione tra l’applicazione di quest’ultima ed il contenuto del Codice, che conferma il criterio del minor prezzo e dell’offerta economicamente più vantaggiosa per l’affidamento dei servizi in genere e, quindi, dei servizi di architettura e di ingegneria.
“La nostra proposta - ha sottolineato - è che l’Equo Compenso va applicato in quanto legge dello Stato e il modo per rendere efficace il suo contenuto è quello di operare il ribasso, cioè l’offerta economica, alla voce relativa alle spese forfettarie previste per l’esecuzione del servizio. Ciò consentirebbe la piena corrispondenza tra i contenuti del Codice ed il principio dell’equo compenso. Una proposta, questa, in linea con alcune delle ipotesi avanzate dall’ANAC. E’ questo un nodo politico che va assolutamente ed urgentemente affrontato e risolto. Ci auguriamo, infine, che si possa arrivare al più presto ad interventi correttivi per quelle parti del Codice che presentano elementi oggettivi di criticità”.
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