Di edilizia green si parla da tempo, ma cosa si sta facendo nel concreto? E Cosa sarebbe necessario per attuare questa conversione? In un comunicato del presidente Alessandro Genovesi leggiamo la proposta del sindacato Fillea-Cgil.
Le costruzioni pubbliche e soprattutto private sono oggi la principale causa della produzione di CO2 in Italia e nel mondo, più delle automobili, perché sono energivore, spesso poco salubri, costruite nel tempo con tecniche e materiali a forte impatto ambientale.
Oggi la rigenerazione del costruito (oltre che la messa in sicurezza in termini anti sismici) rappresenterebbe quindi l’investimento industriale con i maggiori impatti economici (solo la riconversione del 10% del patrimonio edificato italiano varrebbe oltre 150 miliardi), occupazionali (almeno 1 milione di nuovi occupati nell’intera filiera delle costruzioni, dalla produzione di bio-materiali, ai servizi di progettazione, intervento, digitalizzazione, manutenzione) e ovviamente ambientali (la riduzione di quasi il 50% di tutte le emissioni e la produzione, per di più, di energia pulita, trasformando ogni grande manufatto in una “piccola centrale” solare o eolica).
Le azioni concrete per la trasformazione
Per fare ciò serve però un’azione di sistema: una grande Agenzia che promuova l’innovazione di prodotto e processo, ma anche di consumo e produzione consapevole, una sorta di Fraunhofer italiana, con migliaia di ricercatori ed ingegneri e un fondo di 1-2 miliardi annui, a disposizione di aziende, amministrazioni locali, cittadini.
Serve un forte investimento nella riqualificazione di migliaia di operai e tecnici edili e nella formazione delle professioni necessarie al green building; un intervento mirato della domanda pubblica, a partire dalla valorizzazione dei cosiddetti appalti verdi (cioè a partire dalla premialità per quegli interventi infrastrutturali, grandi e piccoli, a minor impatto ambientale), un maggior protagonismo dei soggetti finanziari (Banche e Cassa Depositi e Prestiti) per favorire gli investimenti pazienti di grandi e medi soggetti industriali che devono riconvertirsi.
Questo è quello che servirebbe per segnare, anche rispetto alla discussione in Europa sulla possibilità che gli investimenti green escano dal Patto di Stabilità, un vero ritorno alla programmazione industriale. La vera assente da qualche anno a questa parte nei nostri settori e nel Paese e per cui le stesse organizzazioni sindacali e datoriali si sono più volte mobilitate.