L’Accordo di Copenaghen, con il quale si é concluso nella capitale danese, lo scorso dicembre, il vertice delle Nazione Unite sui cambiamenti climatici, è stato il frutto di un’intesa politica promossa da alcuni Stati (tra i quali Stati Uniti, Brasile, India, Cina e Sudafrica). È stato riconosciuto dalla gran parte dei paesi con una decisione che letteralmente "prende nota" della sua esistenza, ma non lo adotta formalmente.
L'Accordo riconosce che l’aumento della temperatura media globale non dovrà superare i 2°C rispetto ai valori pre-industriali e può essere considerato un primo passo che dovrà essere poi trasformato in uno strumento legalmente vincolante in Messico nella prossima conferenza mondiale sul clima (Cancún, 29 novembre – 10 dicembre 2010).
Sappiamo tuttavia che gli impegni dichiarati oggi dai paesi industrializzati ed emergenti al 2020 porterebbero ad una concentrazione di gas serra in atmosfera tale da provocare un aumento molto superiore ai 3°C, con conseguenti notevoli danni ambientali ed economici per tutta la comunità mondiale.
Il convegno annuale del Kyoto Club, "Dopo Copenhagen. Le sfide energetiche e ambientali del 2020", che si svolgerà a Roma il giorno 12 febbraio, presso la Sala della Protomoteca del Campidoglio, ha l’obiettivo di analizzare i risultati di Copenhagen e capire quali sono i margini per un accordo legalmente vincolante a fine anno, grazie anche alla presenza di relatori che rappresentano i paesi chiave nella trattativa quali Stati Uniti, Cina, India e Regno Unito.