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Direttiva efficienza energetica: cosa ne pensano gli ingegneri?

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Direttiva efficienza energetica: cosa ne pensano gli ingegneri?
La Direttiva europea per l’efficienza energetica mal si concilia con le peculiarità del patrimonio immobiliare italiano. Ecco cosa ne pensano gli ingegneri

La Direttiva europea per l’efficienza energetica è il tema caldo del momento. Questa prevede l’obbligo di classe energetica E per tutti gli edifici entro il 2030. Nel 2033, la classe minima diventerà la D.

Poiché gran parte del patrimonio edilizio residenziale in Italia è stato costruito prima del 1990 è facile immaginare che il risanamento profondo degli edifici più vetusti richiederà tempi decisamente più dilatati rispetto a quelli che l’UE sta prospettando.

Se però le preoccupazioni, sollevate a più livelli in Italia, sono più che motivate, i tempi sembrano maturi per elaborare fin da ora una controproposta efficace ed un piano di intervento che consenta di realizzare un obiettivo ineludibile, ovvero quello della riduzione dei consumi energetici degli edifici.

L’Italia ha un incredibile vantaggio rispetto al piano in fase di elaborazione dell’UE; il Paese ha sperimentato per due anni uno strumento come il Super ecobonus, che ci ha consentito di accumulare know-how, di comprendere come affrontare gli aspetti critici di piani di intervento di ristrutturazione estensivi e valorizzare e migliorare i punti di forza. Si è trattato di un intervento pubblico straordinario, in cui pubblico e privato hanno collaborato, realizzando esperienze troppo spesso liquidate come eccessivamente costose o inefficaci.

Gli interventi di coibentazione con Super ecobonus 110% realizzati fino a dicembre 2022 hanno generato un risparmio energetico di quasi 900 milioni di metri cubi standard di gas, il 32% degli obiettivi di risparmio sugli edifici residenziali che il Governo intende realizzare nella stagione invernale 2022-2023 per contribuire a far fronte alla crisi energetica in corso. Siamo stati in grado di fare molto in poco tempo.

Le stime e le riflessioni del CNI

Il Centro Studi CNI stima che negli ultimi due anni sono stati ristrutturati dal punto di vista energetico, attraverso il Super ecobonus 110%, 86 milioni di metri quadrati per 359.440 edifici già completati e ulteriori 122.000 edifici in fase di completamento, per un totale di quasi 482.000 edifici che hanno effettuato il doppio salto di classe energetica. Si dovrebbero poi aggiungere gli interventi di risparmio energetico realizzati negli ultimi anni con l’ecobonus “ordinario”: tra il 2014 ed il 2021 sono tati realizzati oltre 3,7 milioni di interventi per il miglioramento delle prestazioni energetiche delle abitazioni. Sebbene si tratti di interventi con un carattere meno organico rispetto al Super ecobonus 110%, un parziale miglioramento delle prestazioni energetiche c’è stato.

Non siamo dunque all’anno “zero” in termini di recupero ed efficientamento energetico degli edifici; da questo momento occorre però capire quanto tempo è necessario per portare il patrimonio edilizio almeno nella Classe energetica “D” e se possibile oltre ed elaborare un piano nazionale di intervento. I tempi non possono essere quelli così stringenti che l’UE ha in animo di dettare, ma occorre anche definire rapidamente delle controproposte credibili, perché non è più il tempo di affrontare questi interventi all’insegna dell’improvvisazione, anche in termini di analisi di impatto che queste politiche generano. Né possiamo solo rispondere “no” all’UE per realizzare ciò di cui il nostro stesso Paese ha bisogno.

Qui entrano in gioco alcune variabili determinati, la prima delle quali è la disponibilità di dati che definiscano con esattezza millimetrica l’effettivo stato del patrimonio edilizio. I dati fino ad oggi pubblicati sulla vetustà del patrimonio edilizio, sull’anno di costruzione, sulla classe energetica, dicono molto, ma non possono essere ritenuti sufficienti, nella loro forma così aggregata, per controbattere alle proposte dibattute in sede europea.

Se è vero che gran parte del patrimonio edilizio è stato costruito prima del 1990 dovremmo comprendere se e quanta parte di questo patrimonio è stata eventualmente sottoposta a risanamento profondo o parziale. Se è vero che dal sistema SIAPE, che monitora le attestazioni di prestazione energetica degli edifici, oltre il 70% delle strutture residenziali ricade nelle classi G, F ed E, questi dati fanno riferimento a 2,5 milioni di APE; per quanto il dato possa essere rappresentativo ed affidabile occorrerebbe capire con più esattezza quale sia l’esatto perimetro su cui intervenire con maggiore urgenza. Il patrimonio edilizio si compone infatti di oltre 12 milioni di edifici, di molti dei quali ci sarebbe la necessità di capire meglio lo stato in cui si trova. Servirebbe almeno disporre delle Attestazioni di prestazione energetica in modo capillare e aggiornato per quantificare il quadro delle dispersioni energetiche.

Servirebbe, in tempo reale, il dato esatto dei metri quadrati su cui già il Super ecobonus è intervenuto, i livelli di risparmio energetico per metro quadrato (oggi stimati) e quanti edifici proprio negli ultimi due anni, pur solo con ecobonus sono passati in classe D. Potremmo scoprire che una parte di questi metri quadri non devono essere coinvolti negli interventi previsti dalla Direttiva UE, permettendoci di concentrare gli sforzi su un perimetro più definito, forse anche più ridotto rispetto a quello finora stimato per grandi linee, massimizzando lo sforzo con risorse finanziarie scarse.

Il Governo ha poi deciso di ridimensionare l’accesso al Super ecobonus abbassando il livello di detrazione e mantenendo l’orizzonte temporale al 2025. Ma ciò che abbiamo deciso di smontare progressivamente, ora in qualche modo dovrà essere “rimontato” e “rimodulato” per rispondere alla nuova Direttiva europea. Si sono sempre temuti i costi eccessivi di questa operazione, senza considerare gli introiti dello Stato in termini di gettito fiscale, e questo ha impedito al Paese di pensare ad una qualche forma di ecobonus utilizzabile per 10 o 20 anni.

Arrivati a questo punto, la “partita” non può essere giocata solo dal Governo e non può risolversi solo in una interlocuzione di ordine politico con le istituzioni comunitarie, perché in questo caso gli aspetti eminentemente tecnici decideranno l’efficacia o meno di ciò che verrà programmato.

 

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