Pubblichiamo di seguito parte del discorso del Ministro dell'Ambiente, Gian Luca Galletti, tenutosi il 22 giugno alla Camera, in occasione degli Stati Generali sui Cambiamenti climatici.
Viviamo in un momento cruciale di transizione. Dalle scelte che faremo nei prossimi mesi dipenderà quello che con enfasi, giustificata, chiamiamo 'il destino del pianeta', ma anche il destino dell’Italia, come protagonista dello scenario economico e politico mondiale.
Possiamo decidere di non decidere, scegliere di non fare o di fare poco, e condannare la Terra ad un crescente riscaldamento globale i cui effetti devastanti sono già in atto e ne abbiamo purtroppo prove evidenti anche in Italia. E possiamo decidere nel nostro paese di non seguire l’economia del futuro, condannando l’Italia ad essere passato, retroguardia, sempre più marginale ed economicamente obsoleta.
Perché se la partita del clima è ancora drammaticamente aperta, quella economica è già decisa. Il futuro è della green economy: lì i dirigeranno gli investimenti, lì cresceranno i posti di lavoro.
Dobbiamo decidere, con coraggio. Prendere in mano il futuro del pianeta a Parigi e del nostro paese qui a Roma, affrontando con decisione e con azioni incisive a livello internazionale il surriscaldamento globale e spingendo con chiarezza ed energia il nostro sistema produttivo nazionale verso lo sviluppo sostenibile e verso l’economia circolare.
Siamo ad un bivio storico a pochi mesi dalla conferenza di Parigi, non possimao più fingere di non sapere, non possiamo nasconderci dietro tecnicismi. La questione è anche, io dico soprattutto, etica.
La conferenza di Parigi sarà uno snodo chiave. Io dico che è l’ultima chiamata. Le conseguenze di un fallimento sarebbero disastrose per il processo negoziale e aprirebbero un solco difficilmente sanabile in tempi brevi fra nord e sud del mondo, fra emergenti come Cina, India, Brasile Sudafrica e paesi industrializzati.
Ma di cosa dovrà parlare questo accordo globale? Le parole chiave sono due: mitigazione e adattamento. Per i non esperti della specifica terminologia del negoziato sui cambiamenti climatici - ed entrando così nel vivo dello stato dell’arte in vista della Conferenza - va detto che quando si parla di mitigazione si tratta degli impegni per la decarbonizzazione dell’economia, di tagli alle emissioni. Quando si parla di adattamento si parla degli interventi per fronteggiare le conseguenze del Climate Change e quindi si parla essenzialmente di soldi, risorse, stanziamenti che in linea generale devono andare dai paesi ricchi ai paesi poveri insieme alle misure che devono essere prese da tutti i paesi.
Collegato a questi due temi chiave è quello del trasferimento tecnologico, cioè dell’impegno delle società più ricche a dotare i paesi poveri di tecnologie in grado di consentire il loro sviluppo senza che esso pesi negativamente sul bilancio climatico.
Un accordo sarà possibile solo se si troverà un’intesa su questi i temi.
Ci dovranno essere paesi che dovranno consumare meno energia e paesi che di enorme energia avranno bisogno per crescere, ma dovrà essere tendenzialmente energia pulita.
Si prevede che nei prossimi 20 anni la domanda di energia nel mondo crescerà del 40%. O sarà pulita o ogni tentativo di contrasto al surriscaldamento globale sarà inattuabile.
Questo richiederà un cambiamento radicale del sistema economico mondiale. I paesi che prima degli altri e meglio affronteranno la trasformazione del sistema produttivo in chiave di sostenibilità ambientale avranno vantaggi competitivi nel futuro in un mercato globalizzato.
Ho avuto l’onore e l’onere di guidare, quale presidente di turno, la delegazione UE all’ultima COP che si è svolta nel dicembre scorso a Lima. Già in quella occasione abbiamo delineato con chiarezza le aspettative europee ed italiane nei confronti dell’intesa sul clima.
Noi puntiamo ad un accordo che sia:
- universale/globale (tutti devono partecipare, le maggiori economie devono essere protagoniste)
- ambizioso (come ambizioso è l’impegno europeo)
- durevole (l’orizzonte temporale è il lungo termine, occorre raggiungere un accordo che fissi gli obiettivi di lungo termine e i principi cardine, e includa il suo meccanismo di revisione per non dover rinegoziare l’accordo globale di nuovo tra 5-10 anni)
- dinamico (dove gli obblighi non sono statici ma riflettono l’evoluzione reale delle capacità e responsabilità)
- trasparente (perché gli impegni assunti possano essere verificati e comparati con un robusto sistema di monitoraggio dei risultati raggiunti).
Per l’Italia l’adozione di un Green Act dovrà costituire un vero business plan, un eco-piano 'industriale' del nostro paese, funzionale a definire la strategia nazionale per governare e far fronte alle corrispondenti trasformazioni dei processi economici e produttivi.
Il Green Act si pone l’obiettivo ambizioso di porre le 'scelte sostenibili', quale 'chiave per la crescita economica e il benessere dei cittadini'.
La definizione del Green Act avverrà fornendo un quadro di rifermento normativo chiaro e univoco a tutte le filiere della sostenibilità.
La nostra rivoluzione verde ha un obiettivo temporale, fissato dall’intesa europea, il 2030. Entro quella data dobbiamo raggiungere i target concordati e potremo farlo solo se vedremo la riconversione della nostra economia in chiave di sostenibilità. La rivoluzione è già iniziata, il Green Act le darà un supporto normativo organico e la inserirà in una visione complessiva dello sviluppo futuro del nostro paese.
Abbiamo fretta di cambiare l’Italia per darle un futuro migliore, un futuro più green, un futuro di maggiore occupazione e sviluppo sostenibile.
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- Le slide della conferenza