LA SITUAZIONE ECONOMICA MONDIALE
Se c’è ancora chi pensa che le ricerche del Cresme in campo economico siano un po’ pessimistiche, non ha sentito Lorenzo Bellicini, direttore della società, dire che «ad eccezione dell’anno 2009, a livello mondiale la crisi non c’è stata». Verrebbe da chiedersi come sia possibile un’affermazione del genere, quando è ormai da troppo tempo che si sente parlare della crisi più grande dal secondo dopoguerra. Grande sì, ma non ovunque. Lo ha spiegato Bellicini, presentando il diciottesimo rapporto congiunturale e previsionale del mercato delle costruzioni, in occasione del Construction Day lo scorso 9 novembre a Verona. «È dal 2005 che abbiamo intravisto cambiamenti importanti nel settore delle costruzioni e del mercato immobiliare – afferma Bellicini ripercorrendo a ritroso la situazione economica mondiale e del nostro Paese – e infatti dal secondo semestre del 2006 possiamo parlare di crisi, che si è manifestata soprattutto nel 2009». Ma a che punto siamo un anno dopo?"
Dai dati a disposizione è evidente che le cose siano già cambiate al punto da poter affermare che, se non ci sarà una nuova fase drammatica nel sistema economico-finanziario, nel 2011 ci saranno i primi consistenti segnali di ripresa. «Oggi qualcuno è oltre la crisi – sostiene il direttore del Cresme -, perché in alcune parti del mondo la crisi è già finita, oppure perché non c’è stata e si è verificato semplicemente un rallentamento. La crisi vera e propria ha toccato soltanto le economie avanzate, non quelle emergenti». E sono le economie emergenti a trainare la ripresa. «Nel 2010 – continua Bellicini – l’insieme delle economie emergenti presenta una crescita complessiva del 7% circa».
Si può quindi affermare che la crisi del Pil mondiale altro non è che la crisi delle economie avanzate e della loro capacità competitiva. «Sono stati il Giappone, il Regno Unito e l’Area Europea ad aver risentito maggiormente di questi ultimi anni – dichiara Bellicini -. Nel 2009 il Pil europeo è diminuito del 4,1%, mentre gli Stati Uniti, che rappresentano una parte della causa della bolla speculativa finanziaria e immobiliare, diminuiscono solo del 2,6%. La ripresa è contenuta, coinvolge i Paesi avanzati in maniera differente e con grande difficoltà. Il quadro macroeconomico mostra un +2,6% per gli Stati Uniti e addirittura un +2,8% per il Giappone, mentre l’Europa cresce solo dell’1,7%». Ne risulta che la vecchia Europa è la protagonista debole dello scenario europeo. Sono invece la Cina e l’India i due colossi del mondo non occidentale che guidano l’ascesa: «In un anno – conferma Bellicini – il Pil cinese cresce del 10,5%, quello indiano del 9,7%, seguiti da Argentina e Brasile che registrano un +7,5%. Sostanzialmente questi Paesi crescono, un anno dopo la grande crisi, con una media del 10%».
Ecco perché si può parlare, nel loro caso, di stagnazione dei tassi di crescita e non di crisi. Senza tralasciare, in questa riflessione, che, secondo le stime, il dato complessivo di crescita mondiale nel 2010 è del 4,8%.
Siamo di fronte a una eccezionale ripresa del commercio mondiale e a una situazione molto diversa da quella a cui la storia ci ha abituato negli ultimi 20-30 anni, e per il 2011 le ultime previsioni del Fondo Monetario Europeo vedono un’ulteriore espansione degli scambi internazionali di quasi 7 punti percentuali. Sono il commercio mondiale e il mercato finanziario i due canali tramite i quali la crescita dei Paesi emergenti può trasmettersi a quelli avanzati, attraverso, però, un riequilibrio delle dinamiche commerciali e finanziarie che deve tener conto di alcuni indicatori di base come l’inflazione, il prezzo del petrolio, l’andamento del valore del dollaro e dell’attività azionaria.
L’inflazione, nel breve termine, non sembra poter mettere in pericolo la stabilità macroeconomica globale: «Lo scenario – spiega Bellicini – è di bassa inflazione. Nei Paesi sviluppati l’incremento medio annuale dei prezzi è fin troppo basso, tanto da correre il rischio di una deflazione; mentre nei Paesi emergenti il tasso è più alto, come è normale dati i maggiori tassi di crescita economica». Per quanto riguarda il prezzo del petrolio, dopo una brusca discesa causata dal crollo della domanda durante la recessione del biennio 2008-2009, ha ricominciato a crescere nei primi nove mesi del 2010.
Il valore del dollaro invece è attualmente ai livelli minimi e le borse vivono una situazione di incertezza. Il mercato del lavoro si presenta debole, con disoccupazione crescente e salari reali in ristagno, soprattutto negli Stati Uniti: «Per diversi anni l’impatto occupazionale sarà contenuto – sostiene Bellicini – e in questo momento della competizione la chiave strategica è rappresentatadalla produttività».
LA SITUAZIONE ECONOMICA EUROPEA E L’ITALIA
Nello scenario del confronto l’Europa “paga” la sua vecchiaia: «In Europa la componente anziana copre una percentuale importante della popolazione; è un continente rigido nei cambiamenti, anche se quello che sta succedendo ci sta mostrando che economie strutturate come quella tedesca e svedese stanno giocando una partita ben diversa, lontana da quella italiana o francese – sostiene Bellicini -. Il resoconto del 2010 vedrà il Pil della Germania crescere più del 3%, subito seguito da Svezia, Polonia e Finlandia, mentre Italia, Francia, Olanda, Portogallo, Regno Unito, Belgio e Austria si aggireranno intorno all’1%; in situazioni più difficili, con un altro anno di recessione davanti, sono Grecia, Spagna, Irlanda, Croazia e Romania. Il quadro complessivo mostra chiaramente i diversi comportamenti dei Paesi europei».
E il nostro Paese? Se lo confrontiamo con le altre realtà europee, è quello che è cresciuto meno: «Soprattutto nell’ultimo periodo – specifica Bellicini – e questo ha contribuito a rendere la crisi più pesante per noi. Dal 2006 al 2010 il Pil è diminuito dello 0,4%, mentre la Francia ha visto un aumento dello 0,8%, la Germania dell’1,1%, e la Spagna, nonostante la sua situazione più critica rispetto ad altre, dello 0,9%. Nessuno è andato peggio del nostro Paese. Le previsioni di crescita del Pil nel 2010 ci attestano un +1,1% circa, contro il 3,4% previsto per la Germania e per la Polonia"
"Il problema principale risiede nella perdita di capacità competitiva dell’Italia rispetto agli altri Paesi: «Dopo il boom degli anni ‘60 e ’70, negli anni ’80 siamo riusciti a rimanere in linea con il resto d’Europa manegli anni ’90 e in tutto il ciclo del 2000 abbiamo perso fortemente competitività – sostiene Bellicini e rafforza il concetto -, è da vent’anni che l’Italia perde competitività rispetto agli altri e questo è un tema cruciale». Sicuramente tra le difficoltà che hanno comportato maggior incidenza sulla crisi del 2008-2009 ci sono il debito pubblico, i dati negativi degli investimenti (-4% nel 2008 e -12% nel 2009), la discesa delle esportazioni (-3,9% nel 2008 e -19% nel 2009), ma Bellicini ricorda che nel 2010 i segnali diripresa ci sono, al punto da far prevedere una crescita delle esportazioni del 6,2%."
«E qui si gioca una partita importante incentrata sulla capacità di crescita di competizione e produttività. Non dimentichiamo che l’Italia è un Paese che sa reagire nei momenti di difficoltà». Proprio poco tempo fa il governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, durante una relazione presentata nello studio del famoso economista Giorgio Fuà, ha posto l’attenzione al problema della produttività del nostro Paese. Ma – commenta Bellicini – lo stato dell’economia generale non tiene conto solamente del deficit pubblico, della capacità di crescita, della produttività. Tiene conto anche della ricchezza oggettiva delle famiglie e ne viene fuori che l’Italia è un Paese povero di famiglie ricche. La ricchezza delle famiglie italiane è suddivisa per il 40% in attività finanziarie, per il 4% nei fabbricati non residenziali eper il 56% in abitazioni. Valori altissimi rispetto ai confronti internazionali».
Oltre alla produttività vi sono altri protagonisti importanti nella competizione che il nostro Paese dovrà affrontare, come la qualità dello sviluppo: «In che modo cresciamo? – prosegue il direttore - L’impatto delle nostre attività sta diventando sempre più importante, soprattutto dal punto di vista ambientale, che oggi vede inquinamento, dissesto idrogeologico e rifiuti aumentare, contribuendo al peggioramento dei livelli di qualità di vita».
Altra riflessione da non sottovalutare nei rapporti congiunturali è che «il nostro Paese – continua Bellicini – in un momento così debole della crescita economica ha vissuto un boom di popolazione sorprendente, crescendo mediamente nei primi anni 2000 di 420mila persone all’anno» Di chi è tutta questa crescita? Non tutto il Paese cresce allo stesso modo e infatti dalle ricerche svolte dal Cresme si evince che a crescere sono soprattutto i quattro sistemi economici principali della Penisola: Lombardia, Lazio, Veneto ed Emilia Romagna. Forte crescita demografica e debole crescita economica. Si tratta di uno scenario completamente nuovo da quello degli anni ‘50 e ’60, nei quali popolazione ed economia procedevano verso l’alto di pari passo. Oggi l’andamento demografico italiano dipende dagli stranieri, che incidono del 10% sul Pil italiano. «In questa analisi – ricorda Bellicini - non bisogna sottovalutare il rapporto tra gli italiani che sono tornati nella propria patria e quelli che sono andati via. 35mila è il numero di giovani che hanno lasciato, in quest’ultimo periodo, il nostro Paese per cercare lavoro altrove».
Il tema dell’occupazione è un altro aspetto con forte incidenza: «Abbiamo perso – continua Bellicini – 500mila occupati nell’industria, tra cui 200mila nel settore delle costruzioni. Ma se nel 2009 i dipendenti diminuiscono del 5,2%, chi decide di mettersi in proprio cresce dello 0,3%, per poi scendere nuovamente durante lo stesso anno e nel primo trimestre del 2010. Anche in questo caso gli stranieri hanno un posto di rilievo, con un incremento dell’8,2% degli indipendenti e del 12,4% dei dipendenti, sempre nel 2009, con un ulteriore incremento nel corso del 2010. Un altro indicatore è la cassa integrazione, che registra un +320% nel 2009 nell’industria e un +90% nel settore costruzioni».
IL MERCATO DELLE COSTRUZIONI IN EUROPA E IN ITALIA 1.316 miliardi di euro. Ecco quanto vale la produzione del settore costruzioni nei 19 Paesi della rete Euroconstruct nel 2009. -8,8% rispetto al 2008. «Si tratta – spiega Bellicini – del secondo anno consecutivo di riduzione del fatturato. Solo la Svezia e la Polonia hanno presentato rispettivamente un +1,0% e un +4,3%, mentre in tutti gli altri Paesi monitorati hanno subito una contrazione, con una flessione maggiore nell’Europa occidentale (-9,3%). L’Europa Centro-Orientale ha presentato un -0,7%.
Non c’è mai stata una crisi così importante nel settore delle costruzioni». Dov’è, nello specifico, la crisi? «Soprattutto nel comparto della nuova produzione residenziale – risponde Bellicini – e ha toccato tutti i Paesi con un tasso di decrescita di -13,1% complessivo. Secondo le statistiche previsionali la ripresa di questo comparto non avverrà prima del 2011. Gli altri settori interessati sono il non residenziale (-8,9%), che per riprendersi dovrà attendere il 2012, e la costruzione di infrastrutture, che ha avuto un anno molto diverso nei vari Paesi e, in particolare, ha avuto un ruolo di traino nell’Europa Orientale con una crescita del 14,2%».
In sostanza, il 2010 è ancora in calo, registrando un – 5,9%, ma il 2011 riserva segnali di ripresa, pur se i livelli saranno bassi: «Ridimensionamento ma ripresa, quindi c’è qualcosa che riparte. È poco, ma non è un segno meno – afferma fiducioso Bellicini – e questo vale anche per l’Europa Occidentale, che è più in difficoltà e ha tagliato più di tutti. I valori europei sono simili a quelli italiani». Il mercato italiano riveste una percentuale importante all’interno dell’Europa, almeno il 15%.
E anche per l’Italia il biennio 2008-2009 è stato il peggiore attraversato dal secondo dopoguerra e il 2010 non ha visto miglioramenti. Non solo il Cresme, ma anche gli altri osservatori del mercato concordano nel rappresentare una situazione piuttosto difficile. «Un lavoro molto importante di questa congiunturale – afferma Bellicini – è stato quello di ricostruire i cicli edilizi, che ci permettono di chiarificare quel che sta succedendo. L’ipotesi di fondo del nostro Rapporto è che con il 2010 e con il primo semestre del 2011 si concluderà il sesto ciclo edilizio in Italia e inizierà il settimo».
2010: L’ANNO DELLA RESA DEI CONTI
Il 2010 sarà l’anno della resa dei conti in Italia: in termini occupazionali, in termini di capacità competitiva delle imprese e in termini di selezione, come dimostra l’analisi dei bilanci 2009, che mostra una situazione molto difficile per le industrie produttrici e per i distributori dei materiali edili.
La razionalizzazione e la riduzione dei costi porteranno le imprese a rimanere leggere e a migliorare l’efficienza. «Abbiamo analizzato – afferma Bellicini – 1.060 imprese della filiera: 200 imprese di costruzione, 400 produttori di materiali edili, più di 100 società di ingegneria divise tra programmazione e impiantistica, 400 distributori di materiali, ripartiti in 200 edili, 100 sanitari e 100 elettrici. Il valore complessivo della produzione nel 2009 è di 180 miliardi di euro, con un fatturato complessivo che diminuisce del 15%. Anche quest’anno, come l’anno scorso, l’invenduto, l’insoluto, la liquidità, la capacità di gestire il credito, la capacità patrimoniale dell’impresa, i livelli di efficienza, la capacità strategico operativa di stare sui mercati emergenti, rappresentano elementi chiave, che insieme alla domanda, fisseranno i contenuti della competizione e della selezione del 2010,
La crisi colpisce tutti e all’interno del mercato sta avvenendo una selezione verticale: c’è chi è in grado di rispondere alle nuove sfide e chi non lo è. La domanda non accontenta più tutti i modelli di offerta. Inoltre, per il settore delle costruzioni la crisi è più grande per i piccoli che per i grandi. Nel complesso del nostro campione, che possiamo considerare una grande azienda, l’utile netto si colloca attorno all’1,8%, che pesato con i grandi non è neanche troppo negativo alla luce di ciò che è avvenuto nel settore. Entrando nello specifico, per i produttori si passa da un utile netto del 6,1% nel 2004 ad un 1,1%; per i distributori l’utile netto è addirittura negativo con uno 0,6%. La selezione è ancora più pesante per i distributori: il 55% perde fatturato e mantiene redditività, il 32% è in crisi e, in generale, non c’è esportazione.
La questione di fondo oggi è quella di definire il potenziale di mercato, ma allo stesso tempo bisogna considerare il cambiamento in atto di questo mercato. Bisogna poi considerare due cose – continua Bellicini - il rischio del debito e il problema del contenimento della spesa. Ma bisogna anche riflettere sul valore della casa, in quanto alla base della crisi vi è lo scoppio di una delle maggiori bolle immobiliari residenziali della storia, e perché la domanda abitativa è tornata a crescere. La casa è un bene d’uso necessario, un bisogno da un lato, un investimento, dall’altro. La componente di bene di investimento ha caratterizzato in forma predominante il presente ciclo immobiliare ma in futuro la casa potrebbe non essere più un investimento sicuro perché il suo valore potrebbe non essere più garantito. È necessario che i prezzi scendano affinché il mercato riparta».
VERSO IL FUTURO
Rispetto allo scorso anno, la previsione 2011 è più articolata ma meno ottimistica, infatti non tutti i comparti torneranno a crescere. Cosa succederà, per esempio, nel comparto residenziale? «Per le nuove costruzioni – dichiara Bellicini – abbiamo dovuto abbassare le previsioni, in quanto destinate inevitabilmente a stabilizzarsi su livelli di produzione ben inferiori a quelli della fase espansiva del cicloprecedente. Per le riqualificazioni invece gli indicatori sono positivi, anzi, la riqualificazione patrimoniale del patrimonio esistente sarà il vero motore del nuovo ciclo edilizio e sarà caratterizzata dal prevalere dell’aspetto tecnologico rispetto a quello estetico. Delicata la posizione del comparto non residenziale che ha le potenzialità per tornare a riprendersi, dati i bassi livelli di produzione toccati, ma tutto dipenderà dalla ripresa economica e dai processi di rilancio delle città italiane nella competizione internazionale. «Le opere pubbliche avrebbero dovuto sostenere l’economia – ricorda Bellicini – ma non è stato così, registrando una scarsità di risorse che ha colpito prima le piccole opere e gli enti locali e poi le grandi opere sopra i 100 milioni di euro. Le attese per il 2011 sono positive ma è meglio mantenere un atteggiamento di prudenza».
IL SETTIMO CICLO EDILIZIO
Stiamo per addentrarci davvero in una nuova “epoca” per le costruzioni? Ebbene, il Cresme sostiene che affinché sia possibile l’avvio del settimo ciclo edilizio in Italia è necessario che si verifichino tre condizioni:
1 – che sia confermata la ripresa dell’economia italiana, con il mantenimento dell’1% previsto per i prossimi anni;
2 – che una parte dei programmi di opere pubbliche previsti trovino attuazione e non siano continuo oggetto di “strategie di slittamento” per ragioni di bilancio;
3 – che il Piano Casa 1 e il Piano Casa 2 si realizzino almeno per il 70% delle loro potenzialità.
Il settimo ciclo edilizio, previsto dal 2011 al 2015, porta con sé un mercato delle costruzioni totalmente diverso da quello che abbiamo conosciuto fino ad oggi e i modelli di offerta/domanda di riferimento saranno altri.
La riconfigurazione del mercato permette di suddividerlo in cinque grandi aree:
1 – il mercato tradizionale, quindi per lo più quello dell’edilizia residenziale e delle opere pubbliche di sola esecuzione. Certamente è un mercato che non scompare, ma si riduce;
2 – il mercato del low cost, dettato dalle dinamiche economiche, dalle caratteristiche della crisi, dai flussi di immigrazione che portano all’evoluzione di modelli realizzativi e processi innovativi a basso costo;
3 – il mercato dell’innovazione, guidato dalla globalizzazione, dall’evoluzione tecnologica e dalla questione energetico-ambientale;
4 – il mercato della riqualificazione e della trasformazione del patrimonio esistente;
5 – il mercato estero, che per le imprese italiane rappresenta una decisione strategica in termini di diversificazione e opportunità.