La priorità ambientale internazionale del clima non sta seguendo una traiettoria positiva. Nel 2017 a livello globale si è verificato un aumento inatteso delle emissioni di carbonio dalla combustione di fossili per fini energetici dell’1,5%, non promette bene neanche il 2018 e agli attuali ritmi diventa sempre più difficile non compromettere l’Accordo di Parigi. Eppure le cause dei cambiamenti climatici sono evidenti: la biodiversità si riduce, aumentano gli eventi estremi e i migranti climatici nel solo 2016 hanno rappresentato ben il 76% dei 31 milioni di sfollati.
Notizie preoccupanti arrivano soprattutto dalla Cina dove, nonostante gli ambiziosi programmi sulle rinnovabili (probabili 200GW di solare per il 2020) si continua a bruciare carbone, tanto che nel 2017 le emissioni di carbonio sono aumentate del 3,5% e nel primo trimestre 2018 sono salite del 4% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
Ma questi trend negativi internazionali potranno essere superati se gli obiettivi ambientali marceranno insieme con lo sviluppo tecnologico e l’innovazione.
Ed è proprio la dimensione mondiale della green economy quella che è stata esaminata nella giornata conclusiva degli Stati Generali, nel corso della sessione plenaria internazionale, che ha visto un confronto tra players internazionali, istituzioni e industria sul tema: “Il ruolo delle imprese nella transizione alla green economy: i trend mondiali”.
“Questo aumento delle emissioni di carbonio dopo tre anni di stabilità o diminuzione - ha affermato Edo Ronchi, Presidente della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile - lancia un segnale preoccupante, soprattutto rende sempre più stretta la finestra per tener fede all’accordo di Parigi, che ha disegnato la traccia dell’impegno necessario per tutto il ventunesimo secolo”. Accanto all’aumento delle emissioni di carbonio si registra anche un dato positivo: nonostante le difficoltà, le energie rinnovabili sono globalmente in aumento.
“E’ evidente oggigiorno che il rapporto tra imprese e ambiente stia cambiando - ha sottolineato Davide Crippa, Sottosegretario, Ministero dello sviluppo economico all’apertura della sessione plenaria internazionale -. Nei loro modelli di business, le imprese stanno sempre più inserendo la tematica ambientale, non a caso in Italia le aziende green rappresentano il 27% del totale, percentuale che sale al 33,8% nell’ambito dell’industria manifatturiera”.
La sessione si è poi sviluppata lungo due panel, l’uno legato ai vantaggi economico-finanziari derivanti dalla transizione verso la green economy, l’altro sui vantaggi occupazionali della stessa.
Finanziamento della transizione alla green economy
Le prime grandi opportunità nel finanziamento internazionale si sono create proprio nel campo delle energie rinnovabili: i nuovi flussi di investimento, sia nazionali che internazionali, sono più che quadruplicati dal 2005. Nel 2015, la maggior parte dei fondi sono stati investiti in progetti legati all’eolico (38%) e al solare (56%). Globalmente, gli investimenti su base annua nella generazione di energia da fonti rinnovabili hanno superato gli investimenti nei combustibili fossili, principalmente grazie al rapido calo dei costi delle tecnologie.
Sono inoltre emerse nuove opportunità per finanziare progetti legati alla green economy, come ad esempio l’aumento del numero di istituti finanziari che stanno emettendo obbligazioni green. L’Unep ha dato vita nel 2014 a un progetto internazionale denominato Inquiry, attraverso il quale sostenere gli sforzi nazionali e internazionali indirizzati a spostare gli ingenti investimenti necessari a promuovere una green economy inclusiva.
Un’altra misura, funzionale in tal senso, è stata l’iniziativa del “Fossil fuels divestment”, un’azione volta a scoraggiare gli investimenti verso un settore (quello dell’energia fossile), a favore di un altro più efficiente ed efficace: quello delle fonti rinnovabili. Al 2017 si parla di 800 soggetti istituzionali e privati che hanno disinvestito dai fossili 6.000 miliardi di dollari.
La green economy e l’occupazione
L’Unep afferma che la green economy è un generatore netto di posti di lavoro decorosi (decent), salari adeguati, condizioni di lavoro sicure, sicurezza del posto di lavoro, ragionevoli prospettive di carriera e diritti per i lavoratori.
Secondo uno studio americano, le energie rinnovabili e i settori a basse emissioni di carbonio generano più posti di lavoro per unità di energia prodotta rispetto al settore dei combustibili fossili, ma quello che colpisce di più dell’analisi è la grande variazione nell’efficienza della creazione di posti di lavoro a parità di investimenti. Nel 2017, il solare fotovoltaico ha segnato un anno record con l’occupazione aumentata dell’8,7% e concentrata in un piccolo numero di Paesi. L’industria eolica impiega 1,1 milioni di persone a livello globale, nei biocarburanti l’occupazione è stimata in 1,93 milioni, con un aumento del 12%.
E’ chiaro che questi cambiamenti globali implichino differenze settoriali e regionali a maggior ragione nel momento in cui la realizzazione di nuovi posti di lavoro in un settore come quello delle rinnovabili comporterà un perdita di occupazione nei fossili. Si stima infatti che la creazione netta di 18 milioni di posti di lavoro prevista al 2030 è il risultato di circa 24 milioni creati e di circa 6 milioni persi.