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Immobiliare: il fenomeno negativo della crescita dei ruderi

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Immobiliare: il fenomeno negativo della crescita dei ruderi
“Il Governo e il Parlamento dovrebbero riflettere su questi dati e agire di conseguenza”, ha dichiarato il presidente di Confedilizia, Giorgio Spaziani Testa

Un capitolo a sé del mercato immobiliare è quello delle cosiddette “unità collabenti”. Si tratta degli immobili in avanzato stato di degrado, cioè i ruderi. Nel 2020 sono in aumento, come segnalato da Confedilizia. Analizziamo il fenomeno.

Nel 2020, il numero di questi immobili (inquadrati nella categoria catastale F2) è cresciuto del 2,2% rispetto al 2019. Ma il dato più significativo è quello che mette a confronto il periodo pre e post Imu: rispetto al 2011, gli immobili ridotti alla condizione di ruderi sono più che raddoppiati, passando da 278.121 a 575.352 (+ 107%). Con tutte le prevedibili conseguenze in termini di degrado delle aree su cui insistono.

Si tratta di immobili, appartenenti per il 90% a persone fisiche, che pervengono a condizioni di fatiscenza per il solo trascorrere del tempo o, in molti casi, in conseguenza di atti concreti dei proprietari (ad esempio, la rimozione del tetto) finalizzati ad evitare almeno il pagamento dell’Imu, ancor più gravosa in questo periodo di grandi difficoltà per le famiglie. Va infatti ricordato che sono soggetti alla patrimoniale immobiliare, giunta a un carico di 22 miliardi di euro l’anno, persino i fabbricati definiti “inagibili o inabitabili”, ma non ancora considerati “ruderi”.

La posizione di Confedilizia

“Il Governo e il Parlamento dovrebbero riflettere su questi dati e agire di conseguenza - ha dichiarato il presidente di Confedilizia, Giorgio Spaziani Testa -. Perché, ad esempio, non dare corso alla nostra proposta di esentare dall’Imu (eventualmente per un periodo limitato, ad esempio un quinquennio) gli immobili dei piccoli centri, quelli situati nei nostri splendidi borghi, che tutti a parole difendono ma che vengono lasciati morire di spopolamento? Cancellare l’imposta nei Comuni fino a tremila abitanti avrebbe un costo di appena ottocento milioni di euro annui e darebbe un segnale di fiducia a tanti proprietari (eredi, assai di frequente) che non hanno le forze e i giusti stimoli per riqualificare i loro beni, in molti casi privi di qualsiasi possibilità di essere venduti o affittati”.