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Ingegneria: qual è realmente il ruolo delle donne?

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Ingegneria: qual è realmente il ruolo delle donne?
Per molti versi l’Italia primeggia in Europa in termini di orientamento delle donne allo studio dell’ingegneria. Ma non è tutto oro ciò che luccica

La parità di genere nel mondo del lavoro è, purtroppo, ancora lontana. Eppure, in tanti ambiti, le donne sono sempre più numerose. Prendiamo in esame l’ingegneria e vediamo qual è il ruolo della componente femminile.

L’incrementodelle donne che studiano e operano nel settore  è stato inarrestabile negli ultimi anni. In alcuni corsi di laurea, come ingegneria civile e ambientale, da due anni il numero delle donne iscritte supera quello degli uomini. Negli ultimi 4 anni il numero delle donne laureate in ingegneria è aumentato del 35%, arrivando a costituire il 28% del totale dei laureati in ingegneria.

Egualmente, procede senza sosta l’incremento delle donne iscritte all’Albo professionale degli ingegneri: nel 2007 erano poco meno del 10%, mentre nel 2021 sono il 16% degli iscritti (quasi 40.000 donne iscritte all’albo).

Per molti versi l’Italia primeggia in Europa in termini di orientamento delle donne allo studio dell’ingegneria. Il Centro Studi CNI rileva che le ultime statistiche Eurostat evidenziano per l’Italia una percentuale di laureate nella categoria “Engineering, manufacturing and construction” (una categoria più ampia dei nostri corsi di laurea in ingegneria e che ricomprende anche Architettura) più elevata di molti Paesi con cui siamo soliti confrontarci. Nel 2018 al 13,2% delle laureate in Italia sul totale dei laureati nella categoria “Engineering, manufacturing and construction”, corrispondeva l’11,6% della Francia, il 10,1% della Danimarca, il 9,2% della Germania e il 6% del Regno Unito.

I dati del Centro Studi CNI attestano che anche in termini di laureate nelle discipline STEM la distanza dell’Italia rispetto ai principali Paesi europei si sta non solo colmando progressivamente, ma è minore se messa a confronto con ciò che si rileva tra gli uomini. Nel 2018 l’Eurostat riporta per l’Italia 12,5 donne laureate in discipline STEM per 1000 abitanti, a fronte delle 11,8 della Germania, delle  8 dell’Olanda, delle 12,4 dell’Austria, delle 16,4 della Francia. Ma se si guarda agli uomini l’Italia registra 18 laureati in discipline STEM per 1000 abitanti, contro i 27,8 laureati per 1000 abitanti in Germania e i 36,5 in Francia.

Il gap salariale tra donne e uomini

Il vero problema oggi, dunque, non è tanto quello dell’accesso delle donne agli studi ed alle professioni tecnico-scientifici, ma il divario salariale che riguarda sia il lavoro dipendente che quello autonomo, ma che in quest’ultimo assume un aspetto ancora più accentuato.

Per avere un’idea del problema è sufficiente analizzare i dati sui redditi medi dei liberi professionisti che operano nel settore dell’Ingegneria. Nel 2018 a fronte di un reddito medio annuo, secondo Inarcassa, di 34.547 euro, quello degli uomini si è attestato a 37.019 euro e quello delle donne a 20.696, il 56% di ciò che guadagna un uomo. Nel caso degli architetti liberi professionisti la situazione è peggiore, con un reddito medio annuo delle donne pari al 64% di quello degli uomini.

Dietro un fenomeno così macroscopico come quello del gender-pay-gap si nasconde un sistema di welfare a sostegno delle lavoratrici inadeguato in Italia, ma che per le donne nel lavoro autonomi si rivela inesistente o gravemente insufficiente. Pur nelle forti trasformazioni sociali intervenute negli ultimi decenni, resta il fatto che l’onere delle cure parentali e di accudimento della famiglia ricadono quasi esclusivamente sulle donne e, quando una di esse intende esercitare la libera professione, la conciliazione dei tempi tra lavoro e famiglia può rivelarsi in alcuni casi impossibile.

Ripartire dalla definizione di un quadro organico, realistico ed efficace delle misure di welfare e a sostegno delle lavoratrici appare oggi improcrastinabile. Servono misure capillari e massicce a sostegno delle lavoratrici, con particolare riguardo per quelle che operano nel lavoro autonomo. Serve peraltro in questo percorso un’azione efficace delle Casse previdenziali private, che nella fase acuta della crisi determinata dai lockdown per epidemia da Covid-19 hanno messo in campo certamente alcune risorse, che però si sono rivelate nient’altro che un palliativo.