Lo studio di Nomisma energia, presentato oggi nel convegno organizzato da Assogasliquidi, ha il merito di sollevare al largo pubblico temi ben noti agli addetti ai lavori e del tutto condivisibili ma poi giunge a conclusioni baste su valori “medi” non adeguati a descrivere una situazione molto più complessa.
Gli argomenti toccati,a grandi linee sono tre: quantità di biomasse consumate, minori introiti fiscali per lo stato, possibili maggiori emissioni nell’atmosfera.
Il consumo di biomasse caratterizzato da scambi informali in ambito domestico, è stato spesso ignorato dagli analisti energetici.
Ad esempio l’articolo del dottor D’Ermo nel numero del 14/2 di QE, parla del ruolo delle rinnovabili citando eolico e fotovoltaico e ignorando le biomasse. Indagini su grandi numeri, attivate da ENEA nel 1998 e nel 2000, poi da Arpa Lombardia indicavano consumi sul solo settore del riscaldamento domestico fra 20 e 24 milioni di tonnellate, per almeno metà autoapprovigionate, fuori da ogni circuito commerciale. Negli ultimi anni le statistiche europee hanno dato spazio ai consumi non formalizzati delle biomasse. Anche il BEN segue questa tendenza e nel bilancio 2011, oltre a 9,2 Mton per produzione di elettricità e 1,5 Mton per biodiesel riporta anche, in attesa dei dati del censimento 2011, ben 14,1 Mton di legna da ardere (tra l’altro comprata secca da 3500 cal/kg e non bagnata come il macinato per le centrali elettriche, compresi anche 2 Mton di pastiglie da 4500 cal/kg). Siamo quindi d’accordo con lo studio che si tratta di un gigante sommerso.
La questione della fiscalità è ugualmente ben nota, un m3 di gas per uso civile, paga circa 0,2€ di accisa mentre un litro di gasolio da riscaldamento paga circa 0,4€ di accisa, considerando l’IVA la differenza è di 0,24€. Su queste basi i 30 miliardi di m3 usati nel settore civile nel 2011 procurano un minore gettito fiscale di 7,2 miliardi di € rispetto al gasolio. L’impiego di legna da ardere ha basi storiche, in tante case isolate o in zone montane che impiegano legna locale, l’aumento di impiego di biomassa per riscaldamento (pellet e ciocchi può essere stimato dell’ordine di 1-2 Mtep cui corrisponde un minor gettito (rispetto al metano o al GPL) dell’ordine di solo 300-500 milioni di €. I produttori e venditori di gasolio da riscaldamento avrebbero dovuto reagire decenni fa alla campagna sul metano che dava una mano all’inquinamento delle piogge acide da zolfo, mettendo in commercio un gasolio a bassissimo contenuto di zolfo e di ceneri, come avvenuto nell’Europa del nord dove si vendono caldaie a condensazione a gasolio.
Infine il tema ambientale. L’ambiente ha tante componenti:fisiche economiche e sociali, una molto importante è quella del particolato nell’atmosfera. E’ ben noto che la combustione delle biomasse ha molta probabilità di produrre più particelle che altri combustibili, questo perché esse contengono più ceneri e perché bruciando a stadi è possibile che si abbiano molti incombusti, lo sviluppo delle tecnologie negli ultimi 20 anni sta migliorando fortemente la qualità degli apparecchi che entrano nel mercato. Sono combustioni di biomassa gli incendi estivi dei boschi e delle stoppie, gli incendi nei campi, i 4 milioni di caminetti aperti, il mezzo milione di termocamini, i due milioni di impianti a pellet ed infine il migliaio di caldaie industriali. Solo questa ultima frazione di impianti è dotata di strumentazione on line per la regolazione della combustione e di filtri elettrostatici o a tessuto necessari per garantire un tenore di polveri inferiori a 30 mg/Nm3,come misurato periodicamente dalle ASL.
In Italia il tema dei controlli è estremamente complesso e delicato sia riguardo all’origine delle varie polveri, sia alla loro diversa tossicità. Tentativi di monitorare l’effetto dell’entrata in servizio di nuovi impianti di teleriscaldamento hanno mostrato l’impossibilità di rilevare le differenze rispetto al livello di fondo. Lo studio di Nomisma valuta un valore “medio” che non alcuna validità rispetto alla coesistenza di milioni di impianti obsoleti e la crescente diffusione di impianti moderni. Il nuovo conto energia va in questa direzione. Il tema di come favorire la rottamazione dei vecchi impianti, di competenza prevalentemente locale, è prioritario per affrontare l’inquinamento atmosferico.
Non vano dimenticati gli altri aspetti ambientali:
-Il clima globale. L’impiego delle biomasse è la via più economicamente efficiente per ridurre le emissioni climalteranti, rispetto ad eolico e fotovoltaico.
-Il dissesto idrogeologico. I boschi italiani sono abbandonati con forti rischi di incendi che producono emissioni, rischi idrogeologici, frane, ed alluvioni. Il ritorno ad una gestione corretta dei boschi , degli alvei etc è un assaggio fondamentale per la protezione del territorio
-Il rilancio delle economie locali. In questi ultimi anni il rilancio della domanda di biomassa, a prezzi sostenuti, sta rilanciando le aziende forestali, con nuova occupazione ed investimenti nelle tecnologie di esbosco, promuove l’economia nelle valli, con forti ricadute locali; E’ una situazione completamente diversa con le altre fonti rinnovabili che promuovono l’importazione fortemente sostenute economicamente.