Il settore delle costruzioni rappresenta una delle maggiori fonti di consumo energetico: nell’Unione Europea raggiunge il 40% del totale. Ciò non solo relativamente all’uso degli edifici (riscaldamento degli ambienti e dell’acqua sanitaria, raffrescamento estivo, illuminazione e f.m.) ma anche alla produzione degli stessi per quanto concerne la realizzazione di manufatti e componenti, il trasporto degli stessi, lo smaltimento dei residui di lavorazione. Di conseguenza, il settore si configura come uno dei principali agenti sia di depauperizzazione delle risorse che di inquinamento, senza peraltro necessariamente comportare un deciso miglioramento delle condizioni di comfort abitativo. Deve essere ben chiaro che la relazione “consumo energetico - impoverimento materie prime - inquinamento aria, acqua, suolo” si basa su un principio di proporzionalità per il quale risulta evidente che diventa una posizione etica, prima ancora che tecnica, quella di realizzare edifici a bisogno energetico controllato.
Da una indagine condotta in Germania poco tempo fa, il 74% degli intervistati non sapeva che il riscaldamento/raffrescamento è il maggior responsabile del consumo di energia.
Del resto l’Italia, nel corso degli ultimi 30 anni (ponendo come soglia temporale l’entrata in vigore della L. 373/76 quale primo segnale di presa di coscienza del problema) ha di fatto sottovalutato il tema del risparmio energetico nell’edilizia, se è vero che, ancora all’inizio del terzo millennio, si collocava al secondo posto in Europa per perdita di energia/anno per casa e al primo posto per perdita di energia totale/anno imputabile alle case, ricoprendo il 17,5% del totale europeo. Il che è ancora più significativo se si riflette sul fatto che, comunque, l’Italia appartiene ai cosiddetti Paesi Caldi dell’Europa.
La riduzione della richiesta di fabbisogno energetico, a parità di condizioni ambientali interne, si incentra in primo luogo ed in maniera significativa sul miglioramento della resistenza termica dell’involucro al quale, per via della progressiva riduzione della massa (negli elementi verticali) e della sempre maggiore incidenza di una più spinta trasparenza (negli elementi sia verticali che orizzontali), si addebita la pressoché totale perdita di energia. Ad esempio, l’Italia è ancora prima nella perdita di energia attraverso le copertura, rispetto alle sorelle nazioni europee, con un ammontare annuo di 156 Mj per mq.
Del resto, ancora all’inizio di questo decennio, l’Italia era agli ultimi posti quanto a spessore di isolante termico impiegato nelle pareti e nelle coperture. Il che significa che non solo lo sterminato patrimonio edilizio storico o pseudo storico, ma anche l’enorme più recente edificazione già assoggettata all’obbligo di riduzione delle termotrasmittanze (quella per intenderci post L. 373) risulta essere un colabrodo energetico. La recente normativa porterà indubbiamente un miglioramento della situazione, ma lo farà essenzialmente per le nuove edificazioni, in un momento tra l’altro di significativa flessione del mercato. Forse occorre una forte campagna di sensibilizzazione (unita a forme di incentivazione economica) perché il privato sia indotto ad intervenire sull’esistente, affinché gli effetti benefici della norma possano diventare davvero significativi. Se manca la consapevolezza da parte della grande utenza, il rischio di “modesto risultato” è dietro l’angolo: “non mos, non ius”. Senza condivisione, non c’è legge.
Ing. Luigi Paolino, AR.IN. Studio