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Professioni: ecco come la pandemia ha cambiato il lavoro

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Professioni: ecco come la pandemia ha cambiato il lavoro
Il mondo delle professioni è stato investito più di altri dall’emergenza sanitaria. Vediamo quali sono state le conseguenze sul lavoro, sui redditi e non solo

Qual è stato l’impatto della pandemia sull’Italia dei professionisti? Ce lo dice il “VI Rapporto sulle libere professioni in Italia” curato dall’Osservatorio delle libere professioni di Confprofessioni, coordinato dal professor Paolo Feltrin, e presentato a Roma.

Sono 38mila i liberi professionisti che hanno chiuso i battenti nel 2020, con calo del -2,7% rispetto al 2019. I più colpiti sono stati gli studi professionali con dipendenti, calati del 7%, ma più in generale è tutta l’area del lavoro indipendente a soffrire, lasciando sul campo 154mila posti di lavoro (-2,9%). La crisi ha picchiato più duro al Nord, dove si è registrato il calo più forte tra i liberi professionisti (-6,6%). Più contenuta invece la flessione nel Centro-Sud, dove alcune regioni (Sardegna, Basilicata e Sicilia) mostrano invece segnali di ripresa. A crollare, però, non è solo il numero ma anche ilreddito dei professionisti, senza distinzioni tra ordinistici e non, dove persiste ancora un forte divario reddituale tra uomini e donne.

La riscossa del Mezzogiorno

Sono le regioni del Sud a sostenere le professioni durante la pandemia. Sardegna, Basilicata e Abruzzo trainano una ripresa occupazionale, che frena nelle regioni del Nord, dove si registra, in media, una flessione di oltre il 7% con punte che superano il 20% in Val d’Aosta. Al di là dell’effetto Covid-19, tuttavia, quasi la metà dei liberi professionisti italiani si trova al Nord, con oltre 706 mila unità, che rappresentano il 48,5% del totale, in flessione rispetto al 2009. Balzo in avanti, invece, per il Mezzogiorno, dove si attestano a quota 385 mila, scavalcando le regioni del Centro, scese a quota 365 mila. Numeri che nel complesso valgono il primato italiano in Europa, dove il nostro Paese vanta un tasso di presenza della libera professione più che doppio rispetto a Germania e Spagna e nettamente superiore a quello della Francia.

Ancora giù i redditi

Secondo i dati dell’Osservatorio di Confprofessioni la pandemia si fa sentire anche sulla redditività. Il reddito annuo medio dei professionisti iscritti alla Gestione separata dell’Inps è crollato da 25.600 euro del 2019 a 24.100 euro del 2020, con una variazione annua del -5,7%. E lo stesso trend si registra per i professionisti iscritti alle Casse previdenziali, dove però emerge una realtà piuttosto eterogenea. Nel 2019 i redditi dei professionisti ordinisti si stabilizzano a quota 35.500 euro: un dato negativo rispetto ai 37.500 euro del 2010.

Allargando l’orizzonte temporale agli ultimi cinque anni (2014-2019), però, si può valutare meglio le dinamiche reddituali delle diverse categorie: crescono i redditi di consulenti del lavoro (+33,4%), ingegneri e architetti (+10,4%), geometri (+9,4%) e avvocati (+3,4%), mentre crollano quelli degli agrotecnici (-37,2%), periti agrari (-30,8%) e infermieri (-15,3%). Un altro aspetto di criticità è dato dal divario reddituale tra uomini e donne: nella fascia d’età tra i 50 e i 60 anni, gli uomini guadagnano in media più di 23 mila euro rispetto alle colleghe donne, fenomeno molto marcato tra i notai, i commercialisti e gli avvocati. Più attenuato il gender gap nelle fasce più giovani e tra le professioni non ordinistiche, dove nel 2020 il reddito medio degli uomini supera quello delle colleghe di circa 5.600 euro.

Più laureati, più occupazione

Secondo i dati Istat elaborati dall’Osservatorio delle libere professioni, negli ultimi anni in Italia si è passati dai 172mila laureati del 2001 ai 345mila del 2020: una variazione del +101%. A crescere, di conseguenza, è anche il numero di lavoratori in possesso della laurea. La crescita occupazionale dei laureati si è tradotta in un aumento molto sostenuto del lavoro dipendente (+34,3%, pari a oltre 1 milione di posti di lavoro in più in 8 anni) ma anche in un incremento deciso del lavoro indipendente (+24,1%, pari a circa 275mila unità di lavoro aggiuntive). Le discipline più gettonate sono Scienze motorie, Informatica e Tecnologie Ict e ingegneria industriale, mentre crollano architettura, ingegneria civile e giurisprudenza. “Si tratta di un chiaro indice della trasformazione in corso in quest’universo occupazionale, interessato nel suo complesso da un calo occupazionale e al contempo da uno sviluppo delle skill e del livello di istruzione”, commenta il prof. Feltrin.

Se da un lato sale il numero di laureati, la libera professione attrae però sempre meno giovani. Secondo i dati elaborati dall’Osservatorio di Confprofessioni, tra il 2010 e il 2019 i giovani che hanno ottenuto l’abilitazione per la libera professione è passato da 59.865 a 49.843, con un crollo di oltre il 16%. Una battuta d’arresto che coinvolge in particolare le professioni tecniche, ma anche commercialisti, notai e avvocati. E che si accentua ancora nel 2020 dove mancano all’appello circa 3 mila under 35.

Lo smart working

La pandemia ha costretto tutti i settori a ripensare le forme di organizzazione del lavoro. Anche i professionisti hanno dovuto fare i conti con le nuove modalità di lavoro agile. Un approfondimento specifico del ‘VI Rapporto sulle libere professioni in Italia’ è dedicato a questo argomento. Dall’indagine svolta dall’Osservatorio di Confprofessioni emerge che l’utilizzo dello smart working nella fase della pandemia ha interessato la maggioranza degli studi professionali (58%). All’incirca un terzo dei liberi professionisti ha fatto ricorso allo smart working limitatamente al periodo di lockdown, mentre il 25% degli intervistati dichiara di continuare a utilizzare ancora il lavoro da remoto.

 

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