Durante la campagna elettorale l’unico tema che in qualche modo ha “colpito” i media e l’opinione è stato quello del nucleare, sebbene si tratti di un’opzione non realizzabile nell’ambito dell’attuale mercato liberalizzato dell’energia, per i suoi costi troppo elevati. Forzare in questa direzione significherebbe tornare dunque indietro rispetto all’apertura negli ultimi anni di mercati sempre più concorrenziali. E’ più probabile che si prepari il terreno culturale per un ritorno del nucleare e che si incoraggino investimenti all’estero.
I veri problemi energetici sono però altri. Vanno dai rigassificatori da realizzare al rafforzamento delle interconnessioni energetiche, daglielettrodotti ai gasdotti- scelte indispensabili a garantire sicurezza e competitività - per finire con le sfide ambientali che condizioneranno le scelte future.
Innanzitutto Kyoto. Sebbene le emissioni si siano leggermente ridotte negli ultimi due anni, restano pur sempre a +10% rispetto al 1990: occorrerebbe un deciso intervento per ridurre il gap che ci separa dagli impegni assunti. Forte coordinamento nazionale, responsabilizzazione delle Regioni erano le indicazione di un deciso ambientalismo lanciate al passato Governo che restano valide anche per il prossimo, che dovrà amministrare proprio durante il quinquennio di Kyoto e dovrà rendere conto della distanza dal traguardo del -6,5% rispetto al 1990.
E’ probabile che, visto il forte ritardo accumulato, verranno fortemente potenziati i meccanismi flessibili previsti dal Protocollo e che alle nostre industrie sarà possibile recuperare il drammatico ritardo cogliendo le opportunità di investimento nei Paesi in via di sviluppo e nelle economie di transizione.
Un ruolo attivo del GSE previsto dall’ultimo decreto legislativo sull’Emissions Trading potrebbe facilitare questo sforzo che comunque darà risultati incisivi solo con un forte coordinamento dei Ministeri interessati, del mondo finanziario, degli operatori privati.
Dietro l’angolo ci sono poi gli obbiettivi comunitari del 2020 che entro il prossimo febbraio vedranno una definizione degli impegni precisi richiesti all’Italia. Saranno in ogni caso obbiettivi ambiziosissimi e per non arrivare in ritardo - come è successo per gli obbiettivi del 2010 - bisognerà seguire il percorso iniziato negli ultimi mesi che ha consentito, tra l’altro, di creare le basi per realizzare un’industria delle rinnovabili nel nostro Paese.
I prossimi 5 anni saranno decisivi per consentire all’Italia di riagganciare la pattuglia di punta dei Paesi lanciati nella rivoluzione energetica in atto, al fine di entrare in quel filone di nuove industrie delle fonti rinnovabili che nel 2007 hanno avuto fatturati di 100 miliardi di dollari e che crescono, in controtendenza con la crisi economica, del 30-40% l’anno su scala mondiale.
Infine dovrebbe poi essere varato un programma “crash”sull’efficienza energetica quanto mai utile sia per fronteggiare il prossimo periodo di energia sempre più costosa, che per avvicinarci agli obbiettivi al 2020.