Salario minimo: cosa ne pensano gli imprenditori edili?

Edilizia di Marco Zibetti
Sul tema del salario minimo, i costruttori condividono l’intento di garantire una retribuzione proporzionata, ma evidenziamo le peculiarità del settore

Sono in esame alla Camera i disegni di legge in materia di salario minimo. In quest’ambito, la Commissione Lavoro ha ascoltato l’Ance, l’Associazione Nazionale dei Costruttori Edili. Vediamo insieme qual è la posizione delle imprese.

L’Associazione ha evidenziato in premessa che, pur condividendo l’intento del Legislatore di intervenire su un tema così rilevante, quale il riconoscimento ad ogni lavoratore, ai sensi dall’art. 36 della Costituzione, di una “retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e, in ogni caso, sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”, occorre effettuare una valutazione complessiva dei risvolti che l’attuale formulazione di alcuni dei diversi testi in esame potrebbe generare, in particolare con riferimento al settore dell’edilizia.

Infatti, l’applicazione generalizzata di un salario minimo legale dovrebbe essere prevista esclusivamente per i settori privi della contrattazione collettiva, in quanto potrebbe condurre alla conseguenza opposta, ossia una fuga incontrollata dai contratti di lavoro, a danno delle imprese regolari e del complessivo impianto normativo contrattuale, al solo scopo di ridurre il costo del lavoro e creare forme di dumping salariale.

In particolare, nel settore dell’edilizia il rispetto di tale principio è già ampiamente soddisfatto dalle parti sociali nazionali comparativamente più rappresentative, che, con i contratti collettivi di categoria stipulati, garantiscono ai lavoratori trattamenti economici coerenti e in linea con l’andamento economico e produttivo delle imprese.

Per le imprese edili dell’industria, il contratto collettivo stipulato dall’Ance e dalle organizzazioni sindacali del settore (Feneal-Uil, Filca-Cisl, Fillea-Cgil), si articola su due livelli di contrattazione: nazionale e territoriale. Analogo impianto si ravvisa negli altri contratti edili stipulati dalle altre organizzazioni datoriali comparativamente più rappresentative con i medesimi sindacati.

Si segnala che anche il contratto collettivo territoriale disciplina voci retributive facenti parte integrante del trattamento economico obbligatorio spettante al lavoratore.

Inoltre, l’applicazione integrale del contratto sia nazionale che di secondo livello territoriale, comporta la necessaria iscrizione degli operai, da parte delle imprese, alla Cassa Edile territoriale (Ente bilaterale di settore) e il relativo versamento di tutte le contribuzioni e gli accantonamenti riferiti agli elementi della retribuzione nonché agli oneri della sicurezza, alle misure assistenziali e sanitarie, che sono obbligatori, inscindibili e vincolanti ai fini della verifica della regolarità contributiva e, quindi, ai fini del rilascio del Durc. Provvedere, dunque, all’introduzione di una retribuzione di carattere universale, da estendere anche ai settori già coperti dalla contrattazione collettiva, come previsto, ad esempio, dalla proposta C. 1053, potrebbe alterare gli equilibri raggiunti nel tempo dalle parti sociali nazionali di settore.

Qualora, infatti, tale salario minimo legale dovesse risultare inferiore al valore definito dalla contrattazione collettiva, le imprese che non applicano alcun contratto potrebbero presentare un’offerta più vantaggiosa, con la conseguente fuoriuscita dal mercato di tutte le imprese che fanno riferimento ai minimi contrattuali.

Le osservazioni dell’Ance

Entrando nel merito degli articolati, L’Associazione ha quindi formulato le proprie osservazioni sull’impianto normativo di ciascun provvedimento ed ha ribadito, in conclusione, che appare indispensabile mantenere fermo il ruolo della contrattazione collettiva, per l’edilizia nazionale e territoriale, quale garanzia di proporzionalità e adeguatezza.

Nello specifico, occorre intervenire per rendere obbligatoria l’applicazione dei contratti collettivi nazionali, e territoriali per l’edilizia, stipulati dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e strettamente connessi all’attività oggetto dell’appalto o della concessione svolta dall’impresa anche in maniera prevalente. Ciò garantirebbe l’applicazione, per le lavorazioni edili o prevalentemente edili, della suddetta contrattazione, con il conseguente riconoscimento di tutte le relative tutele e prestazioni, anche in termini di formazione e sicurezza sul lavoro. Questo è il percorso da intraprendere per garantire certezza ed equità nei trattamenti per lavoratori e imprese.

 

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