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Sismabonus: cosa non va e come migliorarlo?

Antisismica di
Sismabonus: cosa non va e come migliorarlo?
L’Associazione ISI, Ingegneria Sismica Italiana, è intervenuta sul Sismabonus: “Se vogliamo una misura fiscale efficace dobbiamo renderla credibile”

È innegabile che il Sismabonus portato al 110% rappresenti una grande occasione per rendere più sicuri gli edifici. Ma sono in tanti a pensare che il meccanismo incentivante debba essere migliorato, oltre che prorogato.

Anche l’Associazione ISI, Ingegneria Sismica Italiana, impegnata da 10 anni sul fronte dell’incremento della cultura della prevenzione del rischio sismico e della messa in sicurezza del patrimonio costruito, è intervenuta in merito, esprimendo il proprio pensiero con decisione: “Se vogliamo una misura fiscale efficace dobbiamo renderla credibile”. Approfondiamo la questione.

“È innegabile che il bonus sia un beneficio per i proprietari di immobili, ma lo è anche per lo Stato; questo va detto con forza e in maniera positiva”, afferma l’Ing. Andrea Barocci, Presidente di ISI.

Dal 1968 a oggi, l’Italia ha speso tra i 150 e i 200 miliardi di euro (attualizzati) per far fronte al disastro causato dai terremoti; l’85% di questa spesa è servito per la ricostruzione, quindi per sopperire all’inadeguatezza degli edifici. A oggi circa il 75% del nostro patrimonio edilizio è stato costruito in assenza di criteri antisismici; consideriamo che la necessità di manutenzione aumenta di anno in anno; aggiungiamo che ancora non siamo in grado di fermare i terremoti e che ci troviamo a subirli mediamente ogni 5 anni.

Le migliorie proposte da ISI

In questo quadro, è evidente come lo stato abbia necessità di mettere a bilancio la voce di spesa legata al rischio sismico, e incentivare gli interventi di efficientamento strutturale significa investire sulla riduzione di quel capitolo di spesa. E se ci guadagna lo Stato allora ci guadagniamo tutti, perché dal 1968 a oggi per far fronte agli enormi esborsi legati ai terremoti sono state inserite le accise sui carburanti e queste sono pagate da ogni cittadino indistintamente dalla zona simica o dall’edificio in cui ha scelto di vivere.

Risulta ormai chiaro, dopo il Dl 34/2020, che ogni tipo d’intervento strutturale anche senza alcun miglioramento di classe sismica può essere portato in detrazione.

Occorre avere il coraggio di rendere obbligatoria almeno la classificazione iniziale, per qualsiasi tipo d’intervento che si prevede di fare; solo così potrà crescere la cultura del rischio. Di recente è stato detto che questo comporterebbe un intralcio all’effettivo sviluppo della misura fiscale, appellandosi al fatto che la normativa stessa non lo richiede per interventi minimi. Ma una cosa è la normativa tecnica, un’altra è quando lo Stato eroga contributi e ha tutti i diritti di chiedere qualcosa in più, a tutela del proprio investimento e della sicurezza.

Aver tolto con il Dl 34/2020 l’obbligo al miglioramento di classe è una sconfitta nei confronti della riduzione del rischio sismico. Un provvedimento credibile e sostenibile deve andare verso la premialità e spiegare bene perché un cittadino possa avere un contributo diverso da un altro. Non è scandaloso pensare a percentuali differenziate sia per zone sismiche, sia per efficacia degli interventi. È invece scandaloso che un’abitazione degli anni ’90 in zona 3 abbia la stessa percentuale di detrazione e massimale di spesa di una in zona 1 costruita negli anni ‘40.

L’aver inserito l’obbligo diassicurazione dedicata per i professionisti è controproducente nei confronti dei tecnici, che rimangono gli unici soggetti costretti ad assumersi compiti o responsabilità, peraltro spesso su questioni che non competono loro, in un intreccio tra normativa tecnica e fiscale che ha troppe zone grigie e che ancora non vede volontà di dialogo tra diverse competenze.

In una visione lungimirante, che vada oltre gli otto anni di controllo dell’Agenzia delle Entrate, occorre essere coraggiosi ed estendere questa responsabilità al proprietario dell’immobile, il quale deve fare l’assicurazione sul proprio edificio; solo questo potrà veramente tutelare lo Stato, per tutto quello che abbiamo già visto prima, nei confronti del danno erariale.

Un’ulteriore proposta di miglioramento è legata al fatto che da anni siamo obbligati a conoscere, all’atto di una compravendita, il livello di efficientamento energetico del nostro edificio. Considerando quanto scritto sopra, sarebbe assolutamente legittimo richiedere la classificazione sismica del bene in vendita, e inserire tra i diritti del compratore quello di sapere il livello di sicurezza di cosa intende acquistare.

A questo proposito, l’Ing. Andrea Barocci, Presidente ISI, aggiunge: “Questo farebbe nascere comportamenti virtuosi legati alla conoscenza del singolo cittadino, alla facilità per le assicurazioni nel valutare il bene, alle politiche statali di riduzione del rischio con la creazione nel tempo di una mappa nazionale”.

Lo scoglio iniziale della classificazione nei condomini potrebbe essere superato mediante incentivazione fiscale o detrazioni.

Da ultimo, abbiamo visto chiaramente negli ultimi mesi che la percezione di un incentivo strettamente legato al concetto di “gratuità”, per quanto interessante, può risultare dannosa e a lungo andare controproducente se parliamo in termini di riduzione del rischio. La strada corretta deve necessariamente partire da politiche che incentivino la consapevolezza, e che di conseguenza diventino credibili ed implementabili in modo sostenibile, altrimenti dopo lo sprint iniziale il rischio è di trovarsi senza più energie.