Istituzioni internazionali come Ocse e Fondo Monetario Internazionale, oltre alla Commissione Ue, sembrano convinte che le imposte sul patrimonio, in particolare quello immobiliare, insieme con le imposte indirette, siano le migliori rispetto alla performance di crescita dei Paesi, e che ciò sia incontrovertibilmente provato dalle analisi empiriche sul tema. Al contrario, un recentissimo lavoro di Baiardi, Profeta, Puglisi e Scabrosetti - pubblicato su International Tax and Public Finance (una delle principali riviste internazionali di scienza delle finanze) e presentato nella sede del Parlamento europeo, nel corso di un convegno promosso da Confedilizia in collaborazione con l’Unione internazionale della proprietà immobiliare (Uipi) - mostra come l’evidenza empirica che sta alla base di questa tesi sul mix delle imposte sia molto fragile.
Nella fattispecie, utilizzando tecniche econometriche maggiormente prudenti sulla precisione delle stime ed allargando il campione a un numero maggiore di Paesi Ocse e di anni (dal 1971 al 2014), gli autori verificano come l’effetto positivo nel lungo termine di uno spostamento del prelievo dalle imposte dirette alle indirette, e dalle imposte sul reddito a quelle sulla proprietà, non risulti più significativo dal punto di vista statistico. Anzi: nel breve termine un aumento della tassazione sulla proprietà è correlato negativamente con l’andamento del Pil pro capite.
“Confidiamo che questo studio - ha dichiarato il presidente di Confedilizia, Giorgio Spaziani Testa - possa rappresentare un contributo di idee utile a tutti coloro che si occupano del rapporto fra tassazione e crescita, a partire dalle organizzazioni internazionali. È giunto il momento di avviare in Italia politiche nuove sull’immobiliare, che siano capaci di incentivare gli investimenti nel settore e, così, di generare sviluppo”.